Scary Stories to Tell in the Dark: un ordinario brivido di paura

Il senso di familiarità conseguente alla reiterazione (di ambientazioni, stilemi, epoche, persino cliché) non è necessariamente una nota a sfavore, ma certo può essere una strategia insidiosa.
Gli elementi da combinare sono pressappoco gli stessi fortunati di sempre: il gruppo di amici adolescenti, la casa stregata, il libro maledetto. Partendo dunque da medesimi tasselli, è la loro composizione a necessitare una certa dose di carattere, per distinguersi dai prodotti simili.
È confortante ritrovarsi su strade già percorse: montare le stesse biciclette, guardare una proiezione al drive-in, comunicare attraverso i walkie talkie, ma intuire fin da subito la direzione della narrazione non ne limita forse il godimento? L’estetica nostalgica ha raggiunto il suo livello di saturazione o può ancora dirci molto?
In Scary Stories to Tell in the Dark, tutto si mescola confondendosi nel “già sentito”, come se stessimo riascoltando lontane leggende perse nel tempo, accantonate chissà dove nei ricordi d’infanzia; suggestioni che riportano alla paura ancestrale del buio, ai mostri sotto al letto, al gesto istintivo di tirarsi le coperte fin sopra al naso.

Anche Mill Valley, avvolta da un’aria pungente, ci sembra nota nei suoi colori autunnali, potremmo perfino attraversala a occhi chiusi: sentiamo quasi il profumo delle torte alla zucca appena sfornate, ora esposte in vetrina nel diner all’angolo, dall’altro lato della strada una recruiting station è zeppa di giovani reclute, quei ragazzi forse non torneranno più a casa.
Siamo nel 1968, sul finire di ottobre, momento cruciale e turbolento nella storia politica americana: gli echi del Vietnam si manifestano su tutta la nazione come opprimente presenza oscura, mentre le imminenti elezioni, private del candidato democratico Robert F. Kennedy, assassinato qualche mese prima, vedranno vincitore in strettissima maggioranza Nixon, dall’accurato nomignolo Tricky Dick, “il furbetto” (“Non è un nome per un presidente”, diranno nel film), ma per i più giovani è soltanto un’altra attesa notte di Halloween; il terrore della guerra è un boato attutito e al posto degli elmetti si indossa il cappello da strega.
 
scary stories donna allo specchio terrorizzata

[foto: anonimacinefili.it | hotcorn.com]

 
In meno di cinque minuti, la sequenza iniziale traccia un ipnotico ritratto delle atmosfere di provincia  ̶  da prima del tramonto alla sera  ̶  e con sapienza ci concede la possibilità di esplorare i luoghi, di conoscere volti, sentire voci e persino carpire peculiarità di ogni personaggio: piccoli elementi sparsi qui e là, più o meno nascosti, bisbigliano allo spettatore, proprio come la misteriosa Sarah, chiave del racconto, mormora le sue storie spettrali alle orecchie di ignari bambini.

Mentre il sole si nasconde per lasciar spazio al buio, dalle strade del centro ai campi di grano, siamo accolti in città dalle note della suggestiva “Season of the Witch” dello scozzese Donovan. Terminato il pezzo però, svanisce in egual modo anche la fascinosa (per quanto rapida) costruzione dell’impianto narrativo iniziale.
Cosa rimane di un’ottima premessa? Qualche riuscito spavento ma poca personalità.
Fin troppo rassomigliante ai concorrenti di maggior successo (Stranger Things e It per primi), Scary Stories to Tell in the Dark differisce per appeal. Gli spunti significativi sono tanti ma trattati frettolosamente, così, mentre assistiamo alle sfortunate vicissitudini dei protagonisti, sentiamo che poco ci importa della loro sorte.

cover con lo spaventa passeri del film scary stories to tell in the dark
 

Il film cerca di predisporre una trama lineare rispetto ai contenuti auto conclusivi dei testi di partenza (i tre romanzi di Alvin Schwartz sono contenitori di racconti brevi sul tema del folklore macabro statunitense) pur mantenendo quella stessa inflessione singhiozzante dei libri, che con l’avanzare della trama, diventa ostacolo per la fluidità della storia.
Nonostante la condivisione di uno stesso universo narrativo, i personaggi appaiono come inevitabilmente separati l’uno dall’altro. Ognuno esperisce la propria avventura individualmente e il tema del “gruppo” che si unisce per contrastare una forza soprannaturale maligna, viene suggerito ma non adeguatamente espresso.

La rivelazione progressiva delle creature è invece elemento di maggior fascino: prendono vita dalle pagine insanguinate del misterioso libro di Sarah Bellows e con respiro affannoso arrancano, contorcendosi con la mano protesa verso la vittima designata; fortemente volute da Guillermo del Toro, qui in veste di soggettista e produttore, seguono l’inderogabile impronta dei disegni contenuti nei testi di partenza (Stephen Gammell ne è l’autore) e ricorrendo solo in minima parte alla computer grafica (come del Toro ben ci ha abituati), riescono a ottenere, grazie all’arte e all’artigianalità del trucco prostetico, una fisicità tangibile che dialoga non solo con lo spazio, ma anche con chi lo abita.

“Le storie sono potentissime” ci suggerisce la protagonista Stella introducendo il film, il loro influsso è concreto: salvezza o dannazione, bene o male. Scary Stories to Tell in the Dark ci parla di tutto ciò che ne consegue: “Le storie guariscono, le storie feriscono”.

 

Martina Rizzo

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