Captain Trips, l’influenza di King

L’attualità de L’ombra dello scorpione di Stephen King, proprio in questo periodo difficile che stiamo affrontando, è innegabile. Pubblicato nel 1978, il romanzo è ambientato nel 1980/’81: un futuro cronologicamente già passato, ma in cui possiamo rivedere il presente senza alcuna difficoltà.

Negli Stati Uniti scoppia una epidemia di influenza, rinominata Captain Trips dalla popolazione. Ha una capacità di contagio del 99,4%, attacca le vie respiratorie e provoca delle escrescenze nere alla gola. Tuttavia quell’esiguo 0,6% della popolazione resiste e cerca di sopravvivere. Ma chiaramente stiamo sempre parlando di Stephen King, quindi nella catastrofe del virus (“scappato” da un laboratorio del governo, è importante sottolinearlo) è presente un elemento soprannaturale che porta i sopravvissuti a dividersi tra forze del bene e forze del male, in due zone separate degli Stati.

Entrambe le forze attraggono le persone tramite una forza psichica che si manifesta tramite i sogni o incubi: Mother Abagail, una centenaria di colore estremamente religiosa rappresenta il bene; Randall Flagg, una figura demoniaca, rappresenta il male. Come è normale che sia, alcuni personaggi tra i buoni sono attratti verso il male, e ciò porterà ad una serie di tradimenti che sfoceranno in morte e distruzione.

Ciò che rende unico questo romanzo di King non è la storia in sé, ma la potenza visiva della sua narrativa: ci sono pagine scritte così perfettamente che nessun film potrebbe mai eguagliare. King accende la fantasia del lettore, portandolo a vedere con gli occhi della mente ciò che racconta, in particolare le scene di violenza. Ed inoltre, è chiaramente un romanzo che dimostra un forte amore verso la letteratura nel senso più ampio del termine, dai riferimenti alla Bibbia – che alcuni definiscono il “romanzo per eccellenza” – alla narrativa novecentesca, in particolare quella di Lovecraft. Flagg in effetti, quando lascia la sua forma umana, potrebbe benissimo essere una creatura di Lovecraft.

Vorrei quindi condividere un brano del romanzo, per dar contezza della mia spiegazione. Quattro personaggi buoni, mandati da Mother Abagail, si inoltrano nel territorio nemico, per incontrare Flagg e distruggerlo. Li aspettano gli scagnozzi di Flagg, il quale non ha amici, ma solo servitori terrorizzati. Parla così Glen, un ex professore di sociologia, il più anziano dei quattro:

Hai paura? Avete tanta paura di lui che non avete neppure il coraggio di pronunciare il suo nome? Benissimo, lo dirò io per voi. Il suo nome è Randall Flagg, noto anche come l’uomo nero, noto anche come Quello che cammina. Nessuno di voi lo chiama così? Chiamalo Belzebù, perché anche questo è il suo nome. Chiamalo Nyarlahotep e Ahaz e Astaroth. Chiamalo R’yelah e Seti e Anubis. Il suo nome è Legione ed egli è un apostata dell’inferno e voi uomini baciategli il culo. Pensavo che doveste saperlo.

 

Flagg è il Male che non muore mai, sempre presente dall’alba dei tempi, in attesa del momento di crisi e panico per prendere il sopravvento. Non posso svelare il finale del romanzo, ma Flagg, come il Diavolo della tradizione giudaico-cristiana, non è qualcosa che scompare mai del tutto.

L’ombra dello scorpione è una storia che parla anche e soprattutto di seconde opportunità, di rinascita spirituale, ma gli eventi portano alcuni personaggi a chiedersi se in fondo la catastrofe sia effettivamente servita a qualcosa, dal momento che alcuni tra i sopravvissuti tornano a fare i medesimi errori di una società malata e piena di contraddizioni. Frannie e Stuart, come dei nuovi Adamo ed Eva, si chiedono se “la gente impari mai qualcosa”. E la risposta è “non lo so”.

 

 

Lavinia Consolato

Inguaribile cinefila cinofila che passa la sua vita nelle sale cinematografiche

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