Midsommar, il villaggio dei dannati

Il 25 luglio uscirà in Italia il nuovo film del regista Ari Aster, Midsommar, ambientato in una Svezia dai toni pastello che assumono ben presto un colore rosso sangue.

Il film comincia in America, in una sera di inverno in cui una dei protagonisti, Dani una ragazza che soffre di ansia, perde tutta la sua famiglia per  l’omicidio/suicidio della sorella che decide di farla finita in una maniera abbastanza fantasiosa portando con sé anche i genitori. A completare il quadro, Dani deve affrontare anche la traballante relazione con il suo fidanzato, studente di antropologia, che nel frattempo ha deciso di farsi un viaggio con i suoi amici in Svezia. I ragazzi sono stati invitati infatti da Pelle, uno studente svedese che viene da un villaggio in cui si celebra un festival antichissimo che si tiene una volta ogni 90 anni all’inizio dell’estate. Alla fine anche Dani si unisce al gruppo e come ogni film horror che ha come protagonisti un gruppo di americani in viaggio in Europa (soprattutto se diretti ad un festival di stampo pagano) senti già puzza di tragedia.  Con queste premesse avrebbe potuto essere un gran film horror, ma ciò che ho visto sul grande schermo è stata una agonia interminabile ( il film dura 147 minuti) e con troppa carne al fuoco.

[foto: wikipedia | Mymovies ]

L’unica nota interessante di questo film è stato forse il rituale e la reazione del pubblico in sala a certe scene, antropologicamente parlando.

Se per chi ha qualche rudimento di antropologia può forse risultare curioso come la gente del villaggio partecipi in maniera collettiva a questo rituale decisamente macabro – che tra l’altro prevede la morte di due anziani che si lanciano da una rupe – i canti, le danze, i pasti, il riposo, per non parlare dei sacrifici e di altre attività (che hanno destato ilarità tra gli spettatori in sala) vedono infatti la partecipazione di tutti. Ma questo è tutto. Dopo la prima scena di sangue si arriva al punto centrale della questione, il climax che dovrebbe segnare la chiave di volta della vicenda: continuare a partecipare a questa celebrazione nonostante certe cose vadano contro la mia morale cercando di sopravvivere mentre progetto la fuga da questo posto di hippie sanguinari, oppure andarmene immediatamente? Ecco, in questo film la domanda risulta totalmente inutile visto che i protagonisti sembrano accettare di buon grado tutta quella faccenda senza preoccuparsi minimamente nel momento in cui alcuni di loro cominciano a sparire nel nulla. Questo è ciò che mi ha lasciato più sorpresa in questo film: nessuno dei ragazzi si ribella, progetta una fuga o fa qualcosa per sfuggire alla situazione, anzi decidono di rimanere per poter finire la tesi sui riti ancestrali europei. Forse è questo il problema di questo film, non c’è suspense, non c’è nessuna scena che ti tenga con il fiato sospeso e che ti faccia sperare che almeno uno riesca a tornare a casa. Ciò che sembra è solamente un ibrido tra Campi Insanguinati (2009) e il Prescelto (2006), ma molto più prolisso. Tra l’altro mi aspettavo un qualche collegamento con la tragedia successa a Dani e il rituale, una qualsiasi cosa che spiegasse la scelta stilistica di riportare l’omicidio/suicidio, ma quello che risulta è invece una parte assolutamente scollegata dal resto del film.

In conclusione non so quanto valga la pena andare al cinema appositamente per questo film, a mio avviso totalmente deludente. Ma si sa, l’arte cinematografica è una cosa molto personale e se per me è risultato l’equivalente della Corazzata “Kotiomkin”di fantoziana memoria, per altri potrebbe essere invece  La Corazzata Potemkin.

 

 

Dalila Peluso

Accanita lettrice di King fin dall'età di 13 anni, divido la mia vita tra viaggi, librerie e campi di calcio.

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