Non chiamarmi Suspiria
Berlino all’epoca del Muro, 1977. L’americana Susie Bannion (Dakota Johnson), lasciando in punto di morte la severa madre hamish, giunge alla prestigiosa accademia di danza dove spicca la figura di Madame Blanc (Tilda Swinton), insegnante e guida delle ballerine. Ma all’interno di questa accademia si celano dei segreti. Un antico potere, qualcosa di ancestrale si nasconde nei sotterranei: è la Mater Suspiriorum, la Madre dei Sospiri, una potentissima strega che non può morire, ma solo passare da un corpo all’altro, attorniata dalle sue seguaci, ovvero le insegnanti dell’accademia. Questo potere si manifesta nei sortilegi che colpiscono le ballerine riottose alla loro disciplina: una di loro, Patricia (Chloë Grace Moretz), avendo il sentore di questi intrighi, confida tutti i suoi segreti al dottore Klemperer (interpretato sempre da T. S.), che, in pieno stile freudiano, ed essendo in più un uomo, non coglie la vera essenza di questo potere femminile, scambiandolo per isteria. Klemperer cerca di indagare, ma verrà preso nella tele delle streghe, che si serviranno di lui.
Questo potere femminile mira a liberare la figura della donna, non costringendo le ballerine a rappresentare se stesse in quella tradizionale figura con tutù e scarpette, bensì a piedi nudi, con i capelli sciolti e con un messaggio ben chiaro: non ci può più essere bellezza, è finita l’epoca della compostezza, per lasciare il posto ad una dimensione del femminile scandalosa. La coreografia dello spettacolo (bellissima e ben riuscita) sembra un rito esoterico, che allude ad altri sacrifici. Susie ha raggiunto una piena consapevolezza di sé: Madame Blanc adesso la può presentare alla Madre in un rito simile ad un sabba, in cui Susie, rinnegando la madre naturale, prende rifugio spirituale nella Madre dei Sospiri, acquisendone i poteri.
Suspiria di Luca Guadagnino è un film bipolare: vorrebbe essere due cose contemporaneamente, cioè un film storico ed un film horror. Alla fine non è realmente né l’uno né l’altro, quindi i nostri lettori potrebbero restare delusi, cercando quel desiderio di paura che si richiede ad un film horror.
Di questo film apprezzo con convinzione venti minuti netti (su 152’), ma per un motivo squisitamente estetico, non narrativo: mi riferisco alla scena del montaggio alternato in cui con un sortilegio Madame Blanc fa sì che il ballo di Susie si tramuti in una sorta di maleficio voodoo nei confronti di una ballerina da punire; una scena che ricorda molto le possessioni demoniache, ma con grande arte di mezzo. In secondo luogo, le scene oniriche: sono horror, ma davvero molto belle da vedere, ed hanno un senso all’interno della narrazione.
Tuttavia, se in principio mi ero congratulata per la scelta di Guadagnino di aver evitato di riportare quegli elementi semplicemente inutili ed osceni del film di Argento, quali la pioggia di vermi e lo splatter, poi, nel momento in cui l’horror è severamente richiesto, Guadagnino non ce lo fornisce! Il sabba doveva essere severamente una scena horror, quando invece è grottesca, con una colonna sonora assolutamente fuori luogo, che invece di aggiungere tensione, la dissolve. Perché? Ce lo spieghi, signor Guadagnino, per favore.
[foto: gamelegends.it| cinequanon.it ]
Durante il Festival del Cinema Ritrovato di Bologna, in occasione del restauro di Suspiria di Argento, Guadagnino si era espresso in termini estatici, spiegando il suo amore per il film cult: un amore così forte che lo ha portato a fare un remake. Ma questo Suspiria è davvero un remake? Il semplice fatto di aver tratto questa nuova sceneggiatura dalla sceneggiatura originale di Argento e Daria Nicolodi, lo rende un remake? La logica vorrebbe così, eppure Guadagnino, forse inebriato dal successo di Chiamami con il tuo nome (sul quale in questa sede non prendiamo posizione), ha peccato di presunzione, volendo intrecciare tre linee narrative, senza poi riuscirci realmente.
In questo modo infatti quel voler battere il chiodo sul terrorismo e le streghe non è una semplice contestualizzazione storica, perché allora la trama si sarebbe potuta svolgere a Friburgo come nell’originale, ma soprattutto la sceneggiatura marcia troppo sul fatto che Patricia sia implicata con i terroristi, poi però la questione finisce in aria, di conseguenza è una linea inutile che non porta a niente, se non a perdere tempo. E non si dica che c’è un confronto tra il terrorismo della Banda Baader-Meinhof e il terrorismo islamico odierno, perché a questo punto Guadagnino avrebbe dovuto lasciare da parte le streghe e fare un film storico ponendo al centro il terrorismo tedesco e la storia privata dello psicologo.
Arriviamo quindi alla linea narrativa dello psicologo, una figura ben costruita fino ad un certo punto, ovvero fino al punto in cui non si inserisce tutta la storia della moglie (interpretata da Jessica Harper), per non parlare dell’Epilogo (che si poteva praticamente tagliare di netto). Questa terza linea, al contrario di quella del terrorismo, finisce senza aver avuto un vero inizio! Di conseguenza in primis non ha un vero senso, e successivamente allunga questo brodo fino a chiudere il film con quel cuoricino inciso sul muro della casa di campagna di Kemplerer spostando l’azione ai giorni nostri, come a voler dire che quell’amore resisterà per sempre, pure dopo la morte. Ma perché? Cosa c’entra?
Non si può fare la storia con i se e con i ma, idem al cinema, tuttavia ci sentiamo davvero dispiaciuti per ciò che Suspiria sarebbe potuto essere e non è. Per concludere, non vi dirò di non andare a vederlo, ma di stare ben attenti a chiamarlo “capolavoro” solo perché ha una bella fotografia (anche perché la fotografia di Luciano Tovoli in quello di Argento era magistrale), ed è onirico. Dario Argento si è rifiutato di andare all’anteprima del film a Venezia 2018 dicendo che questo film non aveva niente a che fare con il suo: possiamo dire che aveva ragione.