Esoterismo e mistero: un Pupi Avati gotico dimenticato

Capita che dei piccoli tesori nascosti del cinema vengano ricordati grazie a delle strane casualità: chi avrebbe mai detto che Pupi Avati avrebbe dovuto fare un film con Guillermo del Toro? Ebbene, si dà il caso che Del Toro sia un grande estimatore del nostro Avati e che durante la promozione del suo ultimo film, La forma dell’acqua, adesso in sala, abbia detto che il suo cinema deve molto alle influenze avute nel suo percorso da cinefilo, omaggiando quindi un film quasi dimenticato di Avati: L’arcano incantatore, del 1996. La Cineteca di Bologna ha proiettato il film, presentato dallo stesso Avati che ne ha raccontato la genesi e poi il suo rapporto con Del Toro. Vorrei citare una sua frase: “Un film non deve appartenere del tutto al regista, ci deve essere qualcosa nella storia che debba andare oltre la volontà di chi la racconta. E L’arcano incantatore, che è un film esoterico, è stato così per me, non mi appartiene del tutto”.

Nel 1750, in una Bologna nebbiosa scoppia uno scandalo: Giacomo Vigetti (Stefano Dionisi), un seminarista che ancora non ha preso i voti, fa abortire una donna dopo averla messa incinta. Deve assolutamente sfuggire al processo e lasciare la città. Arriva a chiedere aiuto ad una misteriosa donna, in una villa polverosa e cadente ma meravigliosa. La donna, una strega, gli dice di rifugiarsi da un monsignore allontanato dalla curia perché accusato di eresia. Giacomo non vede in viso la donna, che parla attraverso una parete con delle fessure solo per gli occhi, ma vede invece una mano, con anelli e smalto, nel momento in cui deve farsi fare un taglio per stipulare un patto di sangue, di cui, certamente, si pentirà.

Questo monsignore abita in un palazzo in campagna, lontano dal resto del mondo, una specie di eremita che non vuol farsi vedere da nessuno, tranne che da Giacomo, che sostituisce il precedente assistente bibliotecario, Nerio, morto, si dice, per tutto il male che aveva fatto in vita: accusato, senza prove, di aver rapito due ragazze e averne fatto scempio per dei riti satanici. Monsignore (Carlo Cecchi), possiede una meravigliosa biblioteca, la “biblioteca della morte”, chiamata così perché i suoi studi vergono soprattutto sul tema della morte, ed è riconosciuto un maestro in questo campo esoterico, tanto da guadagnarsi il titolo di “Arcano incantatore”.
Giacomo sente subito il peso di un mistero attorno alla figura dello scomparso Nerio; accadono cose inspiegabili e sinistre. Nerio si manifesta, era stato impossessato dai demoni prima della morte? Aleggiano nell’aria le risate delle due fanciulle scomparse, spettrali presenze sono evocate dallo stesso monsignore. Giacomo vuole scoprire ogni cosa, giungendo una verità sconvolgente.

pupi avati film

[foto:  unapintadicinema.wordpress.com | bookandnegative.com]

La visione di questo film, nella Cineteca di Bologna, la città natale di Avati, è stata illuminante: questo film gotico è un horror ben confezionato, e può sembrare paradossale, ma il fatto che la pellicola fosse rovinata, ha aggiunto alla visione del film un qualcosa di autentico. La scelta di Carlo Cecchi per monsignore non è stata casuale, un attore di teatro di fama, ha dato al suo personaggio un carisma e una voce molto singolare, una figura carismatica che deve in qualche modo schiacciare la giovinezza di Stefano Dionisi.
Gotico, esoterismo e soprattutto mistero può interessare chi ha amato Il nome della rosa (1986). E non per nulla ha vinto anche il premio Corvo d’argento al Festival internazionale del cinema fantastico di Bruxelles nel 1998. Adesso bisogna recuperare un’altra opera di Avati: La casa dalle finestre che ridono (1976).

Lavinia Consolato

Inguaribile cinefila cinofila che passa la sua vita nelle sale cinematografiche

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